
Cum petere humanum est, perseverare autem diabolicum.
Lo so che può apparire un poco azzardato piegare strumentalmente questo sommo principio, con tanto di opportuna modifica, alla banalità dell’aneddoto che voglio raccontare…
L’oggetto e la morale del racconto riguardano la com-petizione che non è una “petizione comune” ma quel desiderio innato di misurarsi con sé stessi e/o con gli altri. Nello sport è, praticamente, il motore principale che ne determina l’esistenza. Nel contempo, se questo principio viene esasperato e protratto oltre un certo limite diviene un ostacolo in relazione al godere dei molteplici aspetti positivi che la pratica dello sport può dare.
Quindi lo sport competitivo ha una sua importante ragione d’essere ma è saggio, passato il momento dell’eccellenza fisica, riposizionarsi sulla pratica sportiva meno impegnativa ma capace di dare grandi emozioni oltre ché agire positivamente sul benessere fisico e mentale.

... Fu così che le case dei podisti furono inondate dapprima da “mini trofei” rappresentanti un mini atleta su mini base nell’atto dello sforzo estremo del gesto atletico (l’espressione del viso dell’atleta in simil plastica appariva persino inquietante), poi venne la volta dei “mini pesos messicani” ovvero micro monete (false) in simil oro (500 per mille) leggere al punto che se non avessero avuto una sostanziale cornice in legno si sarebbero librate in aria.

La lingua d’asfalto all’alba del tracciato (1,2 Km) delude ed illude. Delude gli amanti della Marcia Alpina che con il bitume convivono come una coppia scoppiata ed illude gli Stradisti che su quelle rampe fanno il ritmo con precoce ed inconscia baldanza.
Il passaggio ai Servera dopo circa 1,2 km fa giustizia dell’una e dell’altra opinione ribaltandone i (pre) giudizi entrando nell’essenza delle Inutili Fatiche: